Figlie del Piacere e proletariato urbano. Siena tra Napoleone e la Restaurazione (1814-1816)
Mi piace iniziare la presentazione del libro di Erminio Jacona con una dichiarazione dello stesso autore che, a mio avviso, esprime in modo perfetto lo spirito che ha dato forma e vita a questa sua ultima fatica (ultima in ordine di tempo, naturalmente). Erminio ritiene infatti che raccontare e far rivivere in un libro le piccole vicende personali rintracciate nelle carte d'archivio sia una sorta di "testimonianza, convinto com'è - sono parole sue - che il quotidiano, la sofferenza, la miseria morale e materiale di gente comune, addormentati sotto la polvere del tempo, sono meritevoli di un dolce risveglio senza reclamare postume rivalse o falso pietismo". I documenti che hanno dato origine a questo libro sono stati rintracciati casualmente, così ci dice Erminio, nel corso di una ricerca che aveva tutt'altro oggetto.
Come spesso accade ai ricercatori e in particolare agli archivisti - ed Erminio, che ama definirsi attore, regista, scrittore, scenografo, è però anche un archivista, anzi la sua professione specifica è stata proprio questa - durante la ricerca nelle carte d'archivio oltre alle notizie e ai dati oggetto specifico della ricerca capita anche di imbattersi in documenti che riferiscono fatti non cercati e neanche immaginati, ma comunque interessanti. E chissà quante volte gli sarà successo! E questi ritrovamenti per così dire "casuali" sono poi stati lo spunto per articoli ineressanti o per libri come questo.
Prima di addentrarmi nel contenuto specifico del libro mi piace ricordare qualche esempio di tali "scoperte in Archivio" fatte da Erminio: di particolare interesse è stato il ritrovamento della Relazione del catafalco fatto al nostro amorevole fratello Gerolamo Gigli nella chiesa del Santissimo Crocifisso di nostra Compagnia il giorno 26 gennaro 1722 à Nativitatate. Rintracciata nel fondo archivistico Patrimonio dei resti ecclesiastici, in un registro della Compagnia di Santa Caterina in Fontebranda, dove è annotato con estrema dovizia di particolari il resoconto degli onori tributati dai confratelli alla salma del defunto Girolamo Gigli, morto a Roma il 4 gennaio 1722 e sepolto a Siena con grande onore, anche se in vita era stato un personaggio certamente di rilievo ma anche tanto scomodo. Si tratta di notizie del tutto inedite, corredate da un pregevole disegno del catafalco stesso, che culmina con l'immagine del Gigli in mano alla morte, mentre la fama con la tromba cerca di sottrarglielo (Pubblicato nel libro Siena tra Melpomene e Talia. Storie di teatri e teatranti). E ancora il ritrovamento di 9 lettere inedite (nell'arco temporale 1915-1918) del padre del futurismo Filippo Tommaso Marinetti indirizzate all'inquieta contessina Jole Nerazzini, figlia di quel Cesare Nerazzini un ufficiale medico al servizio della diplomazia italiana in Africa (1883-1897). La contessina aveva delle frequentazioni di alto livello in ambito culturale, artistico, letterario, politico, diplomatico e così via; incontrava, di preferenza presso l'Hotel Flora di Roma, personalità illustri e le menti più brillanti dell'epoca (Il carteggio è pubblicato nella rivista letteraria (Archivi del nuovo. Notizie di casa Moretti). Fra i numerosi libri scritti da Erminio Jacona merita segnalare quello sul teatro del Saloncino, frutto di anni di ricerche archivistiche e tuttora il testo più completo e documentato su tale teatro: Il teatro di corte a Siena. Il Saloncino. Cultura e istituzioni (1631-1827). Ma non divaghiamo oltre e torniamo al libro di Erminio. Il nucleo principale delle vicende raccontate risale al 1815, quando il governatore di Siena Giulio Bianchi, su richiesta del Presidente del Buongoverno (magistratura centrale fiorentina) incaricava l'Auditore fiscale della "pulizia morale" della città con il perseguimento di alcune donne immorali. Come poi è costume dei ricercatori, Erminio ha ‘guardato' cosa succedeva prima e dopo, cioè ha consultato i documenti di poco anteriori e di poco posteriori a tale data, in sostanza ha esteso la ricerca dal 1814 al 1816. E si è trovato a disporre di una serie di vicende umane, umili e spesso dolorose, che hanno per protagonisti donne scostumate, ragazzi scapestrati, ladruncoli, umili lavoranti, disoccupati e tanta gente comune. Ogni vicenda reca con sé un carico di umanità e poteva dar luogo a un articolo a sé stante, ma Erminio, con un colpo d'ala, si è reso conto che tali storie, esaminate tutte insieme, in sequenza, così come erano accadute nella realtà, raccontavano qualcosa di più dei semplici fatti: erano lo specchio fedele di una umanità appartenente a uno strato sociale abbastanza umile, che in quel biennio 1814-1816 a Siena affrontava ogni giorno la fatica di vivere; rivelano l'animosità e la litigiosità dei senesi, probabilmente insite nel loro dna. E così ha deciso di raccontarcele tutte in un libro. Ha però dato vita ai protagonisti di quelle storie, delineati e sbozzati con asciuttezza dalle fonti documentarie, attribuendo loro i sentimenti, gli atteggiamenti, le posture che i fatti suggerivano con verosomiglianza, costruendo addirittura i dialoghi o immaginando l'abbigliamento secondo i canoni della moda allora imperante. E' nata così una felice contaminatio, per cui Ermino attore, regista e scenografo si è sovrapposto al ricercatore storico e le carte hanno cominciato a parlare, a raccontare storie realmente accadute. In certi momenti, leggendo il libro, ho avuto come l'impressione di essere al cinema, mentre sullo schermo scorreva la vita cittadina di quel biennio importante anche per la storia. Questa non è la prima volta che Erminio fa "parlare" le carte: l'abbiamo fatto insieme per il libro sulle schiave, partendo da documenti attestanti il commercio degli schiavi, atti di affrancazione, legittimazioni di figli naturali nati dall'unione del padrone con la sua schiava (Schiave, ribaldi, signori a Siena nel Rinascimento). E ancora per le ricostruzioni storiche su Monteriggioni, che hanno poi dato origine a rappresentazioni teatrali nel castello. Forse nessuno lo ricorda ma la festa medievale, oggi divenuta tradizione a Monteriggioni, la prima volta fu organizzata con l'attiva collaborazione di Erminio (Monteriggioni. Il medioevo di un baluardo di frontiera (1001-1274).
Nel libro comunque la parte narrativa e quella tratta dai documenti sono nettamente distinguibili per la differenza dei caratteri: corsivo per fonti documentarie, tondo per il testo composto direttamente dall'autore. Erminio ha poi introdotto nel libro la presenza attiva e molto interessante di un personaggio coevo ai fatti raccontati, Antonio Francesco Bandini, che con il suo Diario (54 volumi dal 1785 al 1838) fornisce una testimonianza di prima mano (de visu, direi) della vita in città proprio nel periodo preso in esame. Ecco che con cadenza abbastanza frequente il Bandini interviene dialogando con l'autore, a volte commentando i fatti, più spesso delinea ora per ora il quotidiano di Siena: il passaggio di truppe, l'arrivo in città di qualche personaggio, il tempo, i pettegolezzi (il gossip diremmo oggi): l'erudito registra il viaggio del governatore di Siena ad Abbadia per esaminare di persona i danni causati dalle recenti scosse di terremoto (10 febbraio 1815); lavori voluti dal governatore tra il Santuccio e Porta Romana per dar da vivere alla povera gente, muratori, manovali e zappaterra: in quest'anno (i poveri) non sono provveduti di lavori dai loro padroni, giacché nessuno benestante fa il più benché minimo lavoro con la scusa della raccolta scarsa, ma questi - commenta amaramente il Bandini - sono nemici della società ed amici soltanto dei loro palazzi, carrozze e divertimenti (16 febbraio 1815); la morte di Paolo Mascagni (24 ottobre 1815), la fucilazione di Murat (25 ottobre 1815); la fuga di Napoleone dall'Elba; la battaglia di Waterloo. Tra le altre notizie riferite dal Bandini mi soffermerò brevemente sulla rivolta del grano avvenuta il 27 maggio 1815, rivelatrice della pesante situazione economica in città e del clima di estrema tensione. Durante il mercato dei grani e altri cerali, bastò un notizia inesatta sul prezzo di un sacco di grano per scatenare l'ira della folla che tentò di farsi giustizia da sé aggredendo il venditore. Non bastò neppure l'intervento del governatore e dei birri a placare il popolo e neppure la promessa di pane per tutti, le donne infuriate gridavano: "niente voliamo, ma grano al mercato a lire cinque lo staro!". Si dovettero consegnare le chiavi dei granai al popolo che andò a prelevare i sacchi da sé. Una presenza, quella del Bandini, estremamente interessante, che arricchisce il quadro presentato da Erminio e gli dà spessore. Nell'espletamento dei processi l'Auditore fiscale poteva seguire la procedura classica culminante con una vera e propria sentenza, oppur la procedura economica che gli permetteva di decidere arbitrariamente varie restrizioni alla libertà personale. L'Auditore fiscale, su richiesta del capitano bargello, procedeva ad istruire il processo ascoltando imputati e testimoni per poi decidere - con il concenso tacito del Presidente del Buon Governo, magistrato centralizzato fiorentino, e del Governatore di Siena - la pena da dispensare agli imputati, dopo aver loro concessi tre giorni di tempo per proporre eventuali memorie difensive.Di regola le pene applicate erano le seguenti: precetto de non conversando, non trattare con persone dell'altro sesso; divieto di vagare per la città e di uscire di casa dopo le 24; tre giorni di carcere e cinque staffilate; ritenzione in carcere. Citerò qualche esempio per suggerire l'idea dei casi trattati dall'Auditore fiscale nel suo tentativo di moralizzare la città.
Carolina Antichi, tessitrice di panno. Il cancelliere del tribunale scrive al curato di San Martino chiedendo informazioni riservate su di le e sua sorella Regina ed anche su altre donne sospettate di trattare con uomini sposati. Alla fine Carolina riceverà il precetto di non conversare, di non andare in giro di notte e la minaccia di 25 staffilate in caso di trasgressione al precetto. Regina, trovata colpevole di avere una tresca con un uomo sposato proverà sulla sua pelle i morsi della frusta.
Le sorelle Monsecchi. Secondo il rapporto del bargello le sorelle Monsecchi conducono vita libertina e causano liti e risse per motivi di gelosia. Proprio a causa della gelosia per un uomo Teresa Monsecchi nastraia e sua sorella vengono alle mani con Rosa Neri detta la Mora e sua madre nei pressi di una bettola nel Casato. Le Neri accusano Teresa di aver loro sottratto un anello e di aver procurato loro delle ferite alle mani.
Entrambe le sorelle Monsecchi - prosegue il bargello - vivono scandalosamente, hanno malattie veneree e hanno dei figlioli avuti dai loro accompagnatori. Teresa Monsecchi ha avuto due figli, uno da un amante che l'ha ingannata con la falsa promessa di sposarla, l'altro dal conte Flavio Chigi, che ha promesso di dotarla per permetterle di sposarsi e "mettersi a l'onor del mondo". Suo padre l'aiuta a mantenersi e lei tiene con sé un fratello minorenne. In realtà, secondo il rapporto del bargello, le sorelle Monsecchi si prostituiscono sistematicamente nelle osterie e nelle bettole, vivono di questo lavoro; inducono i loro amanti a sperperare con loro quei pochi soldi che guadagnano con fatica, causando anche grave danno alle rispettive famiglie. Sono spesso causa di risse e liti a causa di gelosia.
Maria Romani consorte di Tommaso Romani. Abbandonata dal marito che la lascia senza sostentamento. Tommaso Romani nel 1802 aveva infatti sedotto una donna sposata, Rosa moglie di Dionisio Bandini, inducendola anche a derubare il proprio marito di vari oggetti di valore. I due amanti erano poi scappati a Castelnuovo di Valdicecina. In ogni caso Tommaso - afferma Maria Romani nella denuncia presentata all'Auditore fiscale - aveva rovinato due famiglie, la sua e quella del Bandini. Dopo la morte dell'amante il Romani torna con la moglie giusto il tempo per metterla incinta. L'abbandona di nuovo e la donna si trova malata e con un bambino di pochi mesi da crescere. Maria Romani, che nel frattempo ha intrecciato un'amicizia con un suo vicino, Carlo Fineschi, al quale fa piccoli servigi, chiede al tribunale di obbligare il marito a fare il suo dovere e a provvedere al sostentamento suo e del bambino
Nell'agosto 1815 la petizione dei panificatori di Siena alla magistratura civica è la spia della pesante situazione economica in città. Durante il corso dell'anno il numero dei fornai diminuisce in stretta relazione con l'aumento del prezzo del grano stesso e con la difficoltà di riuscire a procurarselo, problemi che assottigliano sempre di più il loro piccolo margine di guadagno. I panificatori fanno presente che, perdurando tale situazione, potrebbe accadere che in certi giorni il pane manchi del tutto. Pur ammettendo che qualche fornaio ha speculato vendendo il suo grano a negozianti forestieri, chiedono provvedimenti che impegnino i fornai a dichiarare quanto grano hanno nei magazzini e quanto pane potranno preparare nel corso dell'anno, in modo da avere chiaro il quadro della situazione e di sapere in anticipo le necessità; chiedono anche provvedimenti idonei ad assicurare la possibilità di approvvigionarsi per tempo, perché la mancanza di pane si fa sentire di più man mano che ci si allontana dalla mietitura; negli ultimi mesi prima del nuovo raccolto, è difficile procurarsi il grano, i prezzi aumentano vertiginosamente con il rischio di scatenare rivolte.
Molti degli inquisiti non firmano perché sono per la maggior parte analfabeti
Giacomo Deciné. Un uomo di 70 anni, libertino, che preferisce convivere con una prostituta anziché provvedere al sostentamento dei sei nipoti orfani.
Con questi brevi accenni ho voluto dare un piccolo saggio delle vicende narrate nel libro e mi auguro di avervi sollecitato e stimolato a leggerlo.
Maria Assunta Ceppari Ridolfi